Teresa di Gesù:

la scoperta del Dio Amico

 
Chiara Vasciaveo

in Horeb. Tracce di spiritualità 3 (1996) [15] pp. 89-96.

 

Se Teresa agli inizi della sua vita religiosa aveva elaborato una visione ancora limitata del volto di Dio sbilanciata sui timori del giudizio (V 3,6), con il progredire della sua esperienza arrivò a scoprire una diversa modalità di rapporto nella fede costituita dal fascino della Bellezza del Cristo.

 

Dopo aver confessato un “suo difetto gravissimo”, rappresentato dal fatto che “quando mi accorgevo che una persona mi voleva bene e mi era simpatica, mi affezionavo ad essa sino ad averla sempre nella mente” (V 37,4), aggiungeva: “Ma dopo aver visto la bellezza del Signore, non vi fu più persona che al suo confronto mi apparisse così piacevole da occupare ancora il mio spirito. Per esserne del tutto libera, mi basta gettare lo sguardo sull’immagine che porto in me, e innanzi alla bellezza e alla perfezione del mio Signore, le cose di quaggiù, non fanno che disgustarmi” (Ivi).

 

Teresa, la donna innamorata dell'amicizia, attraverso la “strada regale” dell’orazione aveva scoperto il volto che l’aveva affascinata. Dopo anni di vita monastica piuttosto salottiera e giocata all’insegna del far apprezzare i suoi doni di natura, come lei stessa ci racconta:“Appena comincia a conoscere le doti di natura di cui Dio mi aveva favorita - che mi dicevano essere molti -, mentre avrei dovuto servirmene per ringraziare il Signore, presi a servirmene per offenderlo” (V 1,8), uno sguardo diverso le cambiò la vita. Lei che adolescente aveva preso “a portare abiti sofisticati, a desiderare di far bella figura, dedicando molta cura alle mani e ai capelli, usando profumi e abbandonandomi a tutte le vanità possibili, che erano assai numerose data la mia raffinatezza” (V 2,2), “ormai si sentiva stanca e voleva riparare”. 

 

Ecco che un giorno, entrando “in oratorio, i miei occhi caddero su una statua di Nostro Signore tutto coperto di piaghe e ispirava tanta devozione che, guardandolo, rimasi tutta sconvolta a vederlo ridotto in quelle condizioni, perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi.

 

Fu così profondo il rimorso da me provato istantaneamente per l'ingratitudine con cui avevo ripagato quelle piaghe che pareva mi si spezzasse il cuore” (V 9,1). 

 

E, a partire da questo momento: “quando mi comunicavo, sapendo che il Signore stava lì nel mio intimo, mi gettavo ai suoi piedi, nella speranza che le mie lacrime non venissero disprezzate...

 

Rappresentandomi Gesù nel mio interno, specialmente in quei tratti della sua vita in cui lo vedevo più solo, mi pareva di trovarmi meglio. Mi sembrava che essendo solo ed afflitto, come persona bisognosa di conforto, avrebbe dovuto accogliere persino me.

 

Mi trovavo molto bene con l'"orazione dell'orto", dove gli tenevo compagnia. - Aggiungendo - Di simili ingenuità ne avevo parecchie”. (V 9,2-3).

 

Da questo momento cominciava una seconda tappa nella vita di Teresa che l’avrebbe vista impegnata a scoprire come giungere alla sorgente di ogni amicizia e dell’amore di gratuità, sorgente che ella aveva trovato nel volto del Dio fatto uomo. 

 

La strada verso la Fonte

 
Il cammino verso Cristo, l’Amico, è descritto da Teresa, riprendendo un’immagine già abbondantemente attestata nella Bibbia e nella letteratura spirituale, come itinerario verso la Fonte:

 

“Importando molto conoscere come incominciare, dico che si deve prendere una determinazione ferma e determinata di non mai fermarsi di non a che non si abbia raggiunta quella fonte.

 

Avvenga quel che vuol avvenire, succeda quel che vuol succedere, mormori chi vuol mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare: ma a costo dimorire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda alla meta, ne vada il mondo intero!” (C 21,2).

 

Non bisogna mai dimenticare che questo itinerario Teresa lo proponeva a quelle che venivano considerate donnette senza istruzione, per le quali “è cosa migliore che filino, senza bisogno di certe finezze. Per le quali è sufficiente il Pater noster e l'Ave Maria” (C 21,2). 

 

Teresa queste battute le aveva udite con le proprie orecchie. E le riprendeva per mutarle di senso. A suo dire:“Sapete voi, cristiani, cosa dite quando affermate che la meditazione non è necessaria? Io credo di no, ed è per questo che ci volete tutti fuori strada... Se lo sapeste non al momento di iniziare le Ore o il Rosario, vi domandate con chi state parlando, chi siete voi che parlate, per meglio sapere come comportarvi? Vi dico, sorelle che se metteste ogni cura per ben comprendere questi due punti, prima di cominciare la preghiera vocale avreste già dedicato molto tempo alla preghiera mentale” (C 22,2-3).

 

Riferendosi a degli immaginari interlocutori sempre pronti “ad ispirar timori e a cercare di spaventare” (C 21,5) che non è difficile identificare in quei molti dotti che ritenevano assurdo permettere a delle donne senza studi teologici di avere una qualche esperienza di Dio degna di fede, Teresa ribatteva con un coraggio indomito:

 

“Costoro, figlie mie, di pericoli ne troveranno moltissimi, ma non li vedranno se non dopo d'esservi caduti, senza più alcuno che dia loro la mano.

 

Quell'acqua la perderanno del tutto, non potranno berne né poca né molta, né dai ruscelli e neppure dalle pozze. Pensate allora come potranno, senza una goccia d’acqua, percorrere un cammino così pieno di nemici!

 

Il meglio che possa succedere sarà morir di sete. Volere o non volere, figlie mie, benché in diversa maniera, camminiamo alla volta di questa fonte. Ma credetemi e non lasciatevi ingannare: la strada che vi conduce è una sola, ed è l'orazione” (C 21,6).

 

Il tutto senza dimenticare che un arcivescovo come Bartomomé de Carranza, sostenitore di tesi simili, nonché della traduzione in volgare della Bibbia, era stato deposto dall'Inquisizione a Toledo (1559) e processato. 

 

In questo clima, ad ogni persona “divorata dalla sete”, Teresa offriva l’acqua della preghiera nello Spirito come sorgente di rinnovamento e di santificazione. 

 

Ogni creatura cammina per la carmelitana verso quest’acqua, seppure attraverso itinerari diversi. Ma non è questo l'essenziale. Il problema è comprendere la direzione di questa strada.

 

E nella chiesa tridentina timorosa di una Scrittura messa a disposizione come i Sacramenti di tutto il popolo di Dio, Teresa lasciava scritto nella prima redazione del Cammino:

 

“O Signore mio, magari potessi sommergermi in quest'acqua!... L’amore e il desiderio di Dio possono crescere al punto da far sì che il soggetto umano non riesca più a sopportarne la veemenza... Benedetto Colui che ci invita ad andare a bere al suo Vangelo” (CE 31,5).

 

Sorprende che in una edizione curata nel 1981, tali brani, censurati nell'autografo successivo conservato a Valladolid, non siano ancora riportati neppure in nota. 

 

L'amore appassionato verso la Chiesa Corpo di Cristo

 
Non si creda per quanto detto, che l’esperienza che Teresa proponeva alle sue sorelle e fratelli, fosse finalizzata ad un compiacimento intimistico di anime elette.

 

Per lei la scoperta del Cristo dal corpo piagato, sempre più divenne com-passione per il corpo piagato del Cristo che è la Chiesa. Le notizie che le giungevano intorno allo scisma luterano (C 1,1-2), allo sfruttamento delle popolazioni indigene dell'America (F 1,7) ed altro ancora.

 

Per testimoniare il suo amore al Corpo donato del Cristo nell’Eucaristia e al Corpo ferito del Risorto che è la Chiesa, Teresa si proponeva di dare anche la vita, ma: “vedendomi donna e tanto misera, impossibilitata a ciò che per la gloria di Dio avrei voluto, desideravo grandemente che avendo il Signore tanti nemici e così pochi amici, questi almeno fossero buoni. E presi una risoluzione” (C 1,2).

 

La risoluzione fu quella di diventare una buona amica del Cristo, percorrendo questo itinerario nella “sororità”, per far notare a tutti i credenti come sia paradossale che:“a perseguitarvi siano sempre coloro che vi sono più obbligati, perché scelti da voi come vostri amici, a cui donate le vostre grazie, in mezzo a cui vivete, a cui vi comunicate con i sacramenti” (C 1,3). 

 

A tutti costoro Teresa avrebbe presentato la sua avventura fraterna di un Dio che permette di sperimentare sin da questa vita una caparra del suo amore, cercando di  coivolgere quante più persone possibile nella scoperta dei segreti e della forza di tale amicizia.

 

L’amica del Cristo che non aveva esitato a manifestare il suo desiderio di morire, percorsa tutta la parabola dell’amore, si limitava a concludere anche a nome delle sorelle:

 

“Ma ecco cosa più mi sorprende. Avete veduto le angosce e le desolazioni di queste anime per il desiderio di morire e di andare a godere Dio. Ma ora desiderano tanto di servirlo, di farlo da tutti servire e di affaticarsi anche per il profitto di un’anima, che non solo non sospirano più di morire, ma bramano di vivere a lungo, anche fra gravissimi travagli, pur di ottenere che Dio sia lodato un po’ di più” (C VII M 3,6).

 

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