Simboli dell'Icona di

S. Teresa de “Las Moradas”

 scritta da B. Tenore

 

In questa icona è scritta S. Teresa di Gesù (de Ahumada 1515-1582), carmelitana, dottore della Chiesa, fondatrice delle Carmelitane e dei Carmelitani teresiani o scalzi.

Essa è ispirata al modello dei Santi fondatori.

S. Teresa reca nella mano destra il bastone del pellegrino e nella mano sinistra un edificio o palazzo, poggiato su un tallit, su di uno scialle  o mantello della preghiera ebraico.

Teresa, come è noto, era indicata come la “Madre fundadora”, ma la “costruzione” centrale della sua avventura spirituale, non fu costituita dai pur numerosi Carmeli, cui ella diede inizio nella sua vita, a partire da San José di Avila.

Il cuore del suo cammino fu, probabilmente, la scoperta del “Castello interiore”, delle “Dimore”, "Moradas" (cf Gv 14, 2), che il Signore stesso della Vita si è costruito nell’interiorità dell’uomo e della donna, attendendo la sua risposta.

S. Teresa scriveva nelle sue Fondazioni:

«Oh, mio Dio! Come servono a poco gli edifici e gli agi esteriori per l’appagamento dell’anima!

Per amor suo io vi supplico, sorelle e padri miei, di andarci piano in fatto di case grandi e sontuose. Teniamo presenti i nostri veri fondatori, che sono quei santi Padri dai quali discendiamo, e che sappiamo essere pervenuti al godimento di Dio attraverso il cammino della povertà e dell’umiltà.

Ho proprio costatato, del resto, che vi è più spirito e anche maggiore gioia interiore quando sembra che il corpo non si trovi a suo agio che quando si disponga di un’ampia e comoda casa. Per quanto grande essa sia, che vantaggio ci procura, visto che solo una cella è ciò di cui facciamo uso continuamente? Che essa sia spaziosa e ben ornata, che c’importa? Non dobbiamo certo starvi a contemplare le pareti!

Se considereremo che non è la casa in cui abiteremo per sempre, ma il breve tempo com’è quello della nostra vita, per quanto grande essa sia, tutto ci diventerà dolcemente grato, pensando che quanto meno avremo avuto quaggiù, tanto più godremo in quell’eternità dove sono le dimore corrispondenti all’amore con cui avremo imitato la vita del nostro buon Gesù.

Se diciamo che son questi i principi per rinnovare la Regola della Vergine, Madre sua, nostra Signora e patrona, non facciamole l’affronto – a lei come ai nostri antichi santi Padri – di non curarci di adeguare la nostra vita alla loro»  (Fondazioni, 14, 4-5).

 

S. Teresa è raffigurata in quest’icona in piedi e in cammino, con abito e scapolare marrone completo di cappa bianca, nell’abito tradizionale dei Carmelitani.

Esso, particolarmente nella cappa, richiama a ciascuno di essi, la consacrazione alla Vergine cui si impegnano nella sequela di Cristo e la vocazione originaria alla beatitudine dei «puri di cuore» (Mt 5,8). Come ogni battezzato, così i Carmelitani, dimorando nella Parola che è il Figlio, attraverso la grazia dello Spirito Santo, sono chiamati a contemplare Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

Ma la donna contemplativa che è stata S. Teresa, non ha timore ad impugnare il bastone dei pellegrini con cui ha percorso, durante la sua vita, le strade di Castiglia e di Andalusia con audacia e determinazione.

S. Teresa è stata una donna coraggiosa, alla sequela di Cristo, ma anche in cammino sulle vie dello Spirito. Si chiedeva un carmelitano: «Perché Teresa non si è accontentata di vivere la sua altissima vita spirituale nel monastero dell’Incarnazione? Poteva farlo tranquillamente! E invece ha sentito il bisogno di rischiare e di sconvolgere la sua pace e la pace di molta gente per prima fondare un altro monastero e poi un ordine anche maschile e altri monasteri. Perché?». Perché è stata una donna capace di «assecondare il movimento interno dello Spirito» fino a poter sentire la voce dello Sposo (Castello VI,2,3) che, da sempre, ci attende pure nella nostra stessa interiorità.

«Per quanto io ne capisca, la porta per entrare in questo castello è l’orazione e la meditazione» (Cast I, 1, 7) scriveva S. Teresa, però aggiungeva, in un’apparente contraddizione logica, non esistenziale: «Le anime vi entrano in molti modi, e tutte con buona intenzione» (Cast I, 2,12). Diversi secoli più tardi, Edith Stein, commentando il Castello si interrogava intorno al fatto che: «cosa possa muovere l’uomo del tutto “esteriore” ad entrare dalla porta della preghiera quando egli non percepisce ancora questi richiami. La Santa non lo spiega. Io suppongo che ella dia quasi per scontato ciò per gli uomini che, per la loro educazione religiosa, sono abituati a pregare e sono abbastanza istruiti nelle verità di fede per pensare a Dio quando pregano» ed in seguito: «Se vi fosse qualche altra porta oltre a quella della preghiera» (E. Stein, Il Castello dell’anima). Se la porta principale alla propria interiorità può rimanere di certo quella della preghiera per le persone credenti, è possibile che ne esistano molte altre che, attraverso l’autocoscienza, inducano ad accostare il mistero di questo dialogo originario tra Creatore e creatura. Per questo non una è la porta indicata di questo “Castello/Dimore”, bensì varie.

Le fondamenta del “Castello / Dimore” riposano sul tallit. Ormai sono acclarate le origini ebraiche della Santa, come la sua devozione per la festa della Circoncisione del Signore (v. Composizioni poetiche), il Re Davide (cf Vita 16,3; Fondaz 29) e altre poche e carsiche tracce della consapevolezza della sua discendenza da una grande storia di fede. E’ difficile non pensare che il radicamento della sua esperienza spirituale nell’Umanità di Cristo (Vita 12,2.22; Castello VI, 7) fosse estraneo a questa storia che, attraverso questo umile segno di preghiera e di fede, si è voluto ricordare.

La Santa, infine, è incorniciata da un fondo oro, che simboleggia la sua appartenenza alla dimensione divina, in quanto l’oro non ha colore in sé ma è irradiazione di luce, quindi l’aureola non è tanto segno di propria santità come nella mentalità occidentale, quanto riflesso, un irradiamento della santità di Dio rivelata nei suoi figli e figlie.

 

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