S. elisabetta
della trinità
Il 25 Novembre del 1984 Giovanni Paolo Il proclamava beata Elisabetta Catez, una carmelitana, nata a Camp d’Aver, presso Bourges in Francia nel 1880.
La biografia
Elisabetta ebbe una vita molto semplice e lineare. Primogenita di una famiglia della borghesia francese stabilitasi a Digione, perde precocemente il padre (capitano dell’esercito). Del clima familiare si può intuire qualcosa, ricordando come Elisabetta non frequentò mai delle vere scuole. Ebbe, infatti, diverse istitutrici per la sua formazione personale, dedicandosi invece, precocemente, allo studio della musica, che coltivava attraverso la frequenza del locale conservatorio.
Escursioni estive e incontri mondani avevano punteggiato i suoi anni giovanili, anche per la discreta ma ferma insistenza della madre, tutt’altro che entusiasta dinanzi all’idea di “perdere” per il Carmelo, una figlia su cui aveva riposto molte speranze.
Mentre la Francia di inizio secolo viveva lì difficile trapasso da una società tradizionale, tipicamente borghese, ad una società industriale in cui la questione operaia avrebbe assunto un ruolo di rilievo, Elisabetta, appassionata di musica, ma ancora più affascinata da una vocazione intuita, entrava nel Carmelo di Digione il 2 Agosto del 1901. Dopo soli cinque anni di vita claustrale, fu colpita dal morbo di Addison, spegnendosi l’8 novembre del 1906.
La Trinità ci abita
La sua evoluzione spirituale fu ancora debitrice, nel contesto francese d’inizio secolo, degli echi dell’Oratorio francese che spiegano certe sue accentuazioni relative all’ “immolazione”, al suo volersi “annientare col Cristo” fino al desiderio di “perdersi nel divino”, senza assolutizzarli.
Ma altro fu il cuore della sua esperienza di fede. Infatti, riprendendo la tesi patristica della creazione dell’uomo ad immagine del Verbo in una predestinazione di grazia, Elisabetta, con l’aiuto e la guida del padre Vallée, domenicano, si dedicò a riflettere e a vivere il dato dogmatico della inabitazione trinitaria, facendone il centro della propria testimonianza.
Non l’uomo attraverso una strenua prassi ascetica, per lei, deve scalare le cime che conducono alla dimora di Dio, ma è Dio che, proprio in quanto Padre, da sempre, ha sognato una risposta della creatura come risposta di figlia/o. Il dono battesimale che è la vita di Dio in noi, di un Dio che si china continuamente sulla sua creatura per trasformarla in sé, è stato, per la carmelitana, un dato spirituale di estrema evidenza. Alle sue conoscenze ripeteva:
Egli si china su di noi con tutta la sua carità, di giorno e di notte, per comunicarci e infonderci la sua vita divina allo scopo di trasformarci in creature deificate che lo riflettono ovunque (L 171).
Nel vasto orizzonte della sua spiritualità, in questa riflessione, si vuol privilegiare l’analisi del rapporto che l’unì alla sorella Margherita, felicemente sposata e madre di due bambine, per meglio lumeggiare il modo attraverso cui ella concepì il rapporto tra la sua vocazione verginale e la vocazione matrimoniale.
Anziché attardarsi su gerarchie vocazionali, evangelicamente improbabili, Elisabetta maturò in una meditazione attenta dell’epistolario paolino, la convinzione che la sorgiva ed indiscutibile dignità della creatura umana derivi dalla consapevole accoglienza dell’essere stati creati, non secondo un generico riferimento al divino, quanto attraverso un preciso rimando al Dio Trinità, che ha dato origine e amato il mondo nel Figlio. E non aveva problemi a scrivere ad una carmelitana:
Viviamo come Maddalena. In tutto, nella notte e nel giorno, nella luce e nelle tenebre, sempre sotto lo sguardo dell’immutabile bellezza che vuole affascinarci, cattivarci, e più ancora, deificarci! Oh sorella mia, essere Lui, ecco tutto il mio sogno. Non crede che allora, uno sguardo, un desiderio diventino una preghiera potente alla quale il Padre che contempla in noi il suo Verbo adorato, non può resistere? Sì, siamo lui e andiamo al Padre nel movimento della sua anima divina (B 6).
Ma significativamente, alla sorella Margherita, verso la quale aveva esercitato un qualche ruolo materno, indirizzò (nell’aprile del 1906) una delle sue sintesi più lucide al proposito, nella sottolineatura di una totale reciprocità tra le loro vocazioni tanto apparentemente distanti ad uno sguardo superficiale, quanto, invece, radicate nell’unità più profonda della rivelazione trinitaria propria del Dio Comunione:
Ti lascio la mia devozione per i Tre (all’amore). Vivi al di dentro con essi. Il Padre ti coprirà con la sua ombra... per conservarti tutta sua, ti comunicherà la sua potenza perché lo ami con un amore forte come la morte. Il Verbo imprimerà nella tua anima come in un cristallo l’immagine della sua propria bellezza, perché tu sia pura della sua purezza, luminosa della sua luce. Lo Spirito Santo ti trasformerà in una lira misteriosa che nel silenzio, produrrà un cantico magnifico all’amore. Allora sarai la lode della sua gloria. E’ quello che avevo sognato di essere sulla terra. Tu mi sostituirai (L 228).
Donare la vita di Dio: unica missione dei
battezzati
Nel finale di una lettera alla sorella, esplicitando la missione evangelizzante a partire dal contesto familiare, aggiungeva:
L’epistola è finita, cara Margheritina, / ma voglio in questo giorno farti ancora un augurio / - Dona sempre Gesù alla Bettina, a Odetta, / orienta i loro cuori verso il Dio tutto amore!- (CP 90).
Partendo da una fotografia delle piccole, in un’altra circostanza, alla stessa ricordava:
A chi vi contempla fra le braccia della vostra mamma, sembrate tanto piccole, ma la vostra zietta che vi guarda negli splendori della fede, scorge in voi un carattere di grandezza infinita: perché Dio da tutta l’eternità vi portava nel suo pensiero, vi predestinava ad essere conformi all’immagine del Figlio suo Gesù, e per mezzo del Battesimo vi ha rivestito di lui facendovi sue figlie e al tempo stesso suo tempio vivente (S. Paolo Rom 8,29; Col 3,9; Ef 1,4; 1 Cor 3,16). O cari piccoli santuari dell’amore, vedendo lo splendore che rifulge in voi eche non è tuttavia se non un’aurora, resto in silenzio e adoro colui che crea simili meraviglie! (L 203).
E, con naturalezza, stabilendo una diretta reciprocità tra l’esperienza che le bambine avrebbero fatto della propria madre e l’intuizione del mistero di Dio, concludeva:
Se tu sapessi come ti copro di preghiera. Gli dico di stabilirsi in te, di sommergerti, d’invaderti affinché la sua Margherita sia come un’irradiazione di lui medesimo e la piccola Elisabetta, guardandola, veda un riflesso del buon Dio: abbracciala per la tua figlia diletta (L 185).
Prima di molti contributi della psicologia contemporanea, Elisabetta aveva intuito come la prima evangelizzazione si vive all’interno della famiglia nei rapporti parentali con il padre e la madre. Aiutare la sorella a scoprire la ricchezza del suo dono battesimale è stata per lei un’autentica strada di evangelizzazione che ha percorso mantenendosi fedele alla sua vocazione contemplativa e, insieme, apprezzando in pienezza la grande vocazione del matrimonio in Cristo.
Elisabetta aveva scoperto nella solitudine del Carmelo il grande dono della vocazione cristiana, quella di rispondere all’amore del Padre continuando l’incarnazione del Verbo. E questo dono non è fatto solo alle Carmelitane, ma a tutti i battezzati. Ma quanti hanno colto questo grande dono nella sua testimonianza?
- Mère Germain de Jésus, Souvenirs (fre)