"Ma quali sono quell'anime che meritano che il Verbo
le conduca alla sua unione?
Son quelle che si son preparate e hanno avuto
l'olio nella lampada e il lume acceso” (cf. Mt. 25,1-13).
S. Maria Maddalena de’ Pazzi, Renovatione
Suor Maria Angelica di Gesù (Lina Domenici), nacque il 18 Dicembre 1924 a Camaiore (LU) da una semplice e modesta famiglia. Il papà, Luigi, era manovale mentre la mamma, Giulia Gallegni, oltre a tirar su i quattro figli, tre sorelle ed un fratello, aiutava ad arrotondare il piccolo bilancio famigliare.
Lina, la secondogenita, crebbe buona e lavoratrice. Seguita insieme ad un’amica, Giuseppina Polidori, dall’arciprete di Capezzano Pianore, don Davino Borelli, si orientò gradualmente verso l’ideale della consacrazione monastica. Tra le Visitandine e le Carmelitane, che il parroco le presentò come possibili mete, dopo un’esperienza, al tempo già possibile per antico privilegio del Carmelo fiorentino, Lina scelse le Carmelitane dove già si trovava una compaesana, Suor Elena della Croce (Emma Polidori), sorella della futura Suor Giuliana (GiuseppinaPolidori).
Insieme le due amiche, Lina e Giuseppina, entrarono poco più che ventenni al Carmelo, per la festa della Croce, il 3 Maggio 1949, nell’immediato dopoguerra e davvero, non mancarono le rinuncie e le prove ai loro primi passi nella vita monastica. Suor Angelica ricevette l’abito del Carmelo il 10 Luglio 1949, facendo la Prima Professione il 7 Gennaio del 1951 e la Professione Solenne il 10 Gennaio 1954.
Molti anni dopo, Suor Angelica ricordava la povertà del Carmelo dei primi anni e, anche se non era mancata qualche difficoltà con la priora del tempo, non mancava di fare memoria grata del fatto che, durante la sua prova, la priora si privava del suo pezzo di pane perché vedeva la giovane contadina bisognosa di qualcosa in più da aggiungere al magro vitto monastico.
Più facile e profondo le riuscì il rapporto con la madre maestra, Suor Camilla e con Suor Elisabetta della Trinità, vicemaestra e poi, per molti anni, Sotto priora. Schietta e determinata non sempre le era facile entrare nello stile della vita monastica del tempo, ma umile e convinta della sua scelta, grande lavoratrice, seppe trovare nella preghiera la forza per non mai desistere.
Suor Angelica, capace contadina, trovava la sua gioia nello stare nel campo e nell’orto. Lì riusciva senza troppe formule e complicazioni a pregare semplicemente, con qualche frase spontanea e la natura stessa le faceva da libro aperto che le parlava del Signore.
Presto cominciò a conoscere S. Maria Maddalena de’ Pazzi che imparò ad ascoltare ed amare. Per il ritiro del suo 25° di professione decise di affrontare, impavida, i sette volumi delle opere ormai editi e, senza troppe timidezze, da buona toscana, se li lesse interi, realizzando anche un piccolo quaderno in cui si annotò i passaggi più significativi per la sua vita spirituale. Quando si ritirava dai campi, spesso, magari provvista di zappa e attrezzi, passava dall’anticoro e dalla porticina che dava sull’urna della Santa. Senza troppe parole, bussava e la chiamava semplicemente: “Mamma! Aiutaci! Non dimenticarci”. Di questo tipo le sue preghiere. Più tardi, incontrò San Serafino di Sarov e il suo dialogo sul dono dello Spirito Santo fu uno dei testi che rilesse in assoluto più volte, lasciandosi guidare dalla sua semplicità e dal suo amore per il creato.
La cucina, l’orto, più tardi le ostie, furono gli impegni che punteggiavano l’impegnativa giornata di preghiera che, ai tempi, partiva dalle 4 del mattino. Quando dopo il Concilio, anche le Sorelle poterono prendere parte al Coro, grande fu la sua gioia nel poter recitare l’Ufficio e cantare, che le piaceva molto e ascoltava con gusto, quando, ammalatasi di cuore, la voce non reggeva più.
Tra gli incontri importanti ci fu quello col parroco don Armando Corsi, con il quale stabilì una buona amicizia che la vide per anni solerte collaboratrice per l’intera parrocchia. E così come esortava la Santa: "Deve il nostro cuore come la lampada essere stretto da piedi per il disprezzo delle cose transitorie, assai lungo per la perseveranza e largo per la carità”, molto s’impegnò, dalla coltivazione dei fiori, alla realizzazione delle ostie e tovaglie d’altare, alla cura e al sostegno dei numerosi volontari che aiutavano il parroco con i malati.
La cucina, l’orto, più tardi le ostie, furono gli impegni che punteggiavano l’impegnativa giornata di preghiera che, ai tempi, partiva dalle 4 del mattino. Quando dopo il Concilio, anche le Sorelle poterono prendere parte al Coro, grande fu la sua gioia nel poter recitare l’Ufficio e cantare, che le piaceva molto e ascoltava con gusto, quando, ammalatasi di cuore, la voce non reggeva più.
Tra gli incontri importanti ci fu quello col parroco don Armando Corsi, con il quale stabilì una buona amicizia che la vide per anni solerte collaboratrice per l’intera parrocchia. E così come esortava la Santa: "Deve il nostro cuore come la lampada essere stretto da piedi per il disprezzo delle cose transitorie, assai lungo per la perseveranza e largo per la carità”, molto s’impegnò, dalla coltivazione dei fiori, alla realizzazione delle ostie e tovaglie d’altare, alla cura e al sostegno dei numerosi volontari che aiutavano il parroco con i malati.
Pur avendo una tempra non comune che, superati gli ottanta anni ancora le consentiva di lavorare nel campo, fu molto provata nella salute, subendo in tempi diversi ben due infarti e due ictus da cui si riprese con una tenacia incredibile. Dal 2013, però, l’ultimo ictus l’aveva privata della parola e ha trascorso gli ultimi due anni pregando e affidandosi al Signore.
Quasi nel 61° anniversario della sua Professione Solenne, nella luce dell’Epifania, i suoi occhi si sono aperti alla vera Luce il 8 Gennaio 2015 e siamo fiduciose che il Signore abbia accolto la sua risposta e la sua vita.
Le Carmelitane di Firenze