La prima sede del
Carmelo
S. Maria degli Angeli
Borgo San Frediano
(oggi Seminario)
1453-1628
A Firenze non mancavano certo, nel XV secolo, monasteri femminili. C’erano quelli benedettini tanto antichi di San Pietro a Monticelli, risalente al X secolo, in cui sarebbe poi stata educata la futura S. Caterina de’ Ricci e quello di San Pier Maggiore risalente al 1066.
Per il mondo francescano, il monastero delle Clarisse di Monticelli del nuovo Ronco, era stato informato, cioè guidato nello stile clariano, dalla stessa sorella di S. Chiara, Agnese, nel XIII secolo, seguito nel 1333 da quello delle terziarie regolari di S. Elisabetta o di Capitolo.
Le nobili che desideravano scegliere la vita claustrale si trovavano solo dinanzi all’imbarazzo della scelta, doti permettendo. Diversa era la situazione delle popolane, magari con poca o scarsa dote.
Le Sorelle che decisero di prendere il bianco «mantello della Vergine», nei primi decenni di vita della comunità di Santa Maria degli Angeli, furono purtroppo lontane dal pensare che qualcuno avrebbe potuto interessarsi di loro a distanza di secoli.
I monasteri richiedevano in genere un’estrazione nobiliare e una dote cospicua. Donne di famiglia più modesta potevano entrare solo come converse, ossia suore con voti che provvedevano ai servizi di casa ma senza poter votare. Ma anch’esse dovevano sempre portare una dote discreta. Per Monna Innocenza un ostacolo in più poteva essere stato costituito dal suo status di vedova.
Forse ad attrarre verso le «nostre donne bianche» fu la novità della fondazione legata in modo specifico alla devozione mariana, con uno stile magari più semplice e familiare.
All’inizio è chiaro però, che, tra le Sorelle, vi era una vita molto semplice, vicina allo stile di tante donne del tempo, con un impegno particolare di consacrazione e di preghiera.
Ma occorreva molta determinazione per osare una nuova fondazione armate più di buona volontà che di sostanziosi beni economici. Di per sé, i monasteri erano fondazioni nobiliari che richiedevano fondi cospicui per il mantenimento dei numerosi membri nella cittadella monastica. La comunità di Sorelle associata ai frati carmelitani, invece, sembra aver avuto un profilo assai più popolare anche sotto il profilo economico.
Dopo approfondita riflessione e non poche avventure, quattro donne, di cui almeno due erano non giovanissime, Innocenza di Simone d’Arrigo Bartoli, Sara Lapaccini con la figlia Lena, insieme ad Anna de’ Davanzati, ricevettero il 15 agosto del 1450, il mantello dell’Ordine Carmelitano, dal priore frate Biagio sotto il governo episcopale di Orlando Bonarli (1459-1461).
Dopo approfondita riflessione e non poche avventure, quattro donne, di cui almeno due erano non giovanissime, Innocenza di Simone d’Arrigo Bartoli, Sara Lapaccini con la figlia Lena, insieme ad Anna de’ Davanzati, ricevettero il 15 agosto del 1450, il mantello dell’Ordine Carmelitano, dal priore frate Biagio sotto il governo episcopale di Orlando Bonarli (1459-1461).
Per loro fu richiesta la Bolla "Cum nulla", ottenuta il 7 ottobre 1452 da Niccolò V. Quindi la Compagnia di monna Innocenza, probabilmente, insieme ad altri gruppi di donne fiorentine, ottenne l'ammissione, per autorità del Papa, delle donne all'Ordine del Carmelo.
Ricevere tale mantello di lana bianco, tradizionalmente legato alla devozione alla Vergine del Carmelo, costituiva il primo passo verso un legame più stretto tra le donne che già frequentavano la chiesa dei frati e l’Ordine nella sua provincia toscana.
Ciò orienta a pensare che l’impegno pubblico noto e ricordato fosse il primo che coincise con la consacrazione delle Sorelle, non con l’aver trovato casa in cui poter abitare insieme (iniziata nel 1453 o nel 1454).
Infatti, le Sorelle fiorentine hanno sempre tramandato di aver avuto origine il 15 agosto del 1450. Alle primissime si aggiunsero almeno altre due nel 1453, suor Rosa Filippi e suor Mattea Chellini, entrambe, successivamente priore.
Le consacrazioni delle Sorelle sarebbero state il punto di partenza vero della vita spirituale del gruppo. Diversamente, proiettare indietro nel tempo delle leggi varate successivamente, significherebbe incorrere in un errore di anacronismo che è meglio evitare.
Cf C. Vasciaveo, Una storia di Donne, Roma 2013, pp. 19-24.