Il Carmelo della

S. Croce di Lucca  

- Napoli - 

 

Le figlie del principe di Cellammare

 

Un ultimo dato rilevante del primo periodo di vita del Carmelo, fu costituito dall'entrata di tre figlie di Nicola Giudice, principe di Cellamare, ed Ippolita Palagano: Aurelia, Maria Elena ed Isabella che seguirono la zia Eleonora Palagano già educanda, proveniente dal patriziato di Trani. Entrata nel 1617, a sei anni, sarebbe stata novizia il 22.11.1624 e professa tre anni dopo.

 

Fino ad allora le monache di coro erano provenute dalla piccola nobiltà di provincia (da Salerno Cristina, Beatrice e Vittoria De Stefano) e dal mondo delle professioni (medici, notabili, ecc.), ma con le tre le sorelle Giudice, sicuramente in monastero nel 1643, si giunse ad una svolta.

  

Ad esse sarebbero associate altre due, Maria Teresa, monaca e Chiara solo educanda, con molte nipoti. Dalla munificenza del padre sarebbe dipesa un'ampia ristrutturazione del monastero nel periodo immediatamente successivo.


Nel 1623 le monache erano ormai giunte al numero di 80, assistite da ben 6 cappellani, ma probabilmente si trattava di una cifra complessiva che abbracciava tanto le monache professe che quelle in formazione e le educande cui si fa cenno nel 1642.

 

L'educandato

 

Indubbiamente, una delle funzioni che i monasteri assolsero fu quella di provvedere all'educazione delle donne appartenenti ai ceti abbienti. Tale servizio svolgeva importante ruolo di tipo economico grazie alle rette. In secondo luogo originava una serie di relazioni sul piano sociale ed in alcuni casi anche culturale (es. maestra di musica). Infine, permetteva alle monache quel minimo di scambi e di conoscenze tali da consentire un sufficiente reclutamento vocazionale.


Esse, ampiamente coinvolte nelle pratiche religiose in alcuni momenti della giornata, imparavano a leggere e scrivere. Non mancava, inoltre, una certa educazione musicale ed in particolare al canto, unita ai tipici lavori "femminili": ricamo, pittura, cucito, validi e utili tanto nella vita matrimoniale che in un'eventuale (e desiderata) scelta monastica. Più di tanto alle donne non era richiesto e tale prassi educativa rispondeva alle esigenze del tempo, almeno fino al XIX secolo.

 

 

Cf C. Vasciaveo, Il giardino delle Carmelitane, Cantagalli, Siena 2003, pp. 42-45.

 

Le attività delle monache

 

Ma le abilità delle monache potevano anche dispiegarsi in una serie di attività artigianali che, nel connubio tra precisione femminile e pazienza monastica, trovarono un buon terreno nella trascrizione di libri e corali, nella loro decorazione miniata, nella realizzazione di ricami e paramenti sacri anche in seta e oro, nel canto e nella concertazione corale.

 

Per le più intraprendenti non era impossibile partecipare, insieme ai professionisti convocati allo scopo, alla redazione di progetti per le numerose attività di ristrutturazione, restauro e decorazione degli ambienti monastici.


In base alle possibilità economiche e alla propria creatività, quando si era responsabili di qualche ufficio, si poteva editare un testo o un corale, predisporre la confezioni di nuovi arredi liturgici, effettuare una ricognizione in archivio o in biblioteca. Se poi il lavoro compiuto finiva impreziosito dalle insegne di famiglia o il nome della responsabile o dell'autrice, si ritiene che si sia trattato di un peccato ...veniale.

 

Tra le tante sorelle, si è scelto di ricordarne alcune del XX secolo:

 

Madre Erminia dell'Immacolata (marchesa Filiasi)

 

Madre Teresina di Gesù Agonizzante

 

Suor Emanuela di Gesù Bambino

 

Suor Nazarena dell'Immacolata

 

 

Sfogliatelle e medicine...

 

Ma c'era spazio anche per le meno dotate sul piano intellettuale e più esperte nelle attività pratiche.

Secondo la vox populi, sembra che persino le famose Sfogliatelle napoletane siano uscite dalle mani delle bravissime sorelle converse della Croce di Lucca.

  

La vita che le sorelle addette alla cucina conducevano era dura, con sveglie all'alba e ore di presenza davanti al forno incandescente.

A giudicare dai registri amministrativi delle vendite all'esterno di prodotti dolciari, sembra che numerosi siano stati i golosi di Casatelli di pasta reale e ricotta e di Casatelli rustici, di Barchiglie di pasta frolla (a base di crema oppure di ricotta e fragole) senza dimenticare le Zeppole.

  

Che S. Maddalena godesse di considerazione particolare è testimoniato anche dagli Scagliozzi, dal Panesiglio e da una Pizza a lei "dedicati".

 
Per chi preferiva poi una sfumatura di ecumenismo intermonastico c'erano anche i Tortanelli del Sagramento, la Crostata della Sapienza (una specie di pizza rustica alla provola), le Pizzelle di S. Chiara (con mozzarella e prosciutto) o la Pizza di S. Monica (con alici e olive). Ed infine, riservate agli intenditori, c'erano le Sfogliatelle da quelle più austere di S. Giovanni a quelle suntuose di ricotta e mandorle.


Con cuoche così brave anche l'astinenza monastica diventava un'occasione squisita per gustare i Peparoli imbottiti o le Brasciuole di Patate.

 

Una simpatica sorella posta alla direzione della cucina, nel 1864, ebbe l'ottima idea di lasciare un prezioso quadernetto di appunti al proposito. L'unico inconveniente per riproporre simili leccornie è che tutte le pietanze sono calcolate per 80 persone!


Per terminare questo sguardo globale non si può dimenticare l'attività delle sorelle addette alla farmacia che fornivano sciroppi, unguenti, pomate e pastiglie a base erboristica in anticipo sui gusti odierni. Erano queste le modalità consentite a delle donne, forse, in misura superiore a quanto permesso a delle laiche, per essere oltre che con la preghiera, a servizio della gente.

 

Cf C. Vasciaveo, Il giardino delle Carmelitane, Cantagalli, Siena 2003, pp. 128-131.

 

Una pergamena dipinta da una monaca
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